lunedì 11 dicembre 2017

Compagne di cella

Mi chiamo Miriam. Tra le pagine non proprio esaltanti della mia vita ci sono da menzionare quelle in cui agivo da ladruncola. Mi credevo furba, scaltra ma poi, un giorno, durante un tentativo di rapina in banca, la polizia arrestò sia me che i miei complici. E così finì in cella, in attesa del processo. Fu li che conobbi Gisella. Ci piazzarono nella stessa cella. I primi tempi facevamo fatica a socializzare io e lei, si può dire che non parlavamo quasi. Ma poi la noia, la solitudine, quel misto di emozioni che possono attraversare la mente di una persona rinchiusa in quattro mura, fecero si che tra di noi iniziasse un dialogo. A volte parlare è importante, specie quando lo scorrere della giornata è scandito, in maniera monotona, unicamente da: mangiare, bere, dormire, defecare e urinare. Gisella l'aveva combinata grossa: una questione di gelosia. Accecata dalla gelosia e dall'alcol aveva picchiato con rabbia fino allo sfinimento la sua diretta rivale in amore mandandola tragicamente in coma. La sua unica speranza per "addolcire" le accuse contro di lei sarebbe stata l'uscita dal coma di quella donna. Ad ogni modo le giornate in cella possono durare un'eternità, specie se la noia prende drammaticamente il sopravvento. Fu lei ad avvicinarsi a me epr prima, accennando un dialogo ed io le detti corda. Gira e rigira eravamo entrambe in astinenza di sesso. In passato avevo avuto qualche esperienza saffica, Gisella invece no. Quando azzardai l'approccio palpandole le tette da dietro, sopra il reggiseno, sembrò cadere dalle nuvole. Mi disse di non essere preparata a queste cose, non avendo mai considerato i rapporti erotici tra donne. Ciò mi stuzzicò ancor di più: non male una vergine del sesso lesbo. Le misi le tettone in bocca e lei, incuriosita, mi leccò i capezzoli. Approfittai dell'atmosfera di eccitazione per slinguazzarle la passera. Gisella, ormai coinvolta, ricambiò il gesto mostrando abilità naturali di leccatrice tutt'altro che da novizia. E così la lasciai proseguire finendo addirittura avvinghiata con le mani alle sbarre della cella, a cosce aperte a cavalcioni sulla sua bocca mentre lei si sditalinava. Non potevo certo resistere a lungo a quelle deliziose slinguazzate per cui, alla fine, mi sbrodolai raggiungendo un favoloso orgasmo. Anche Gisella stava lì lì per esplodere: la slinguazzai con gusto mentre se ne stava all'impiedi appoggiata con la schiena alle fredde mattonelle della cella. E così Gisella raggiunse l'amplesso che percepì essere dolce, intenso, estasiante! Mentre lo stava ancora assaporando ad occhi chiusi mi misi sopra di lei baciandole il viso. Mi adagiai sù di lei dolcemente e così le mie tette sulle sue al termine di quella lesbicata pazzesca. Ci addormentammo abbracciate sfinite dal godimento e dormimmo divinamente. Dopo quella volta il soggiorno, e soprattutto le notti, rinchiuse in cella, furono decisamente più piacevoli...















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